domenica 13 maggio 2012

SCOUT E OMOSESSUALITA', VEDIAMOCI CHIARO

Sono scout da ormai 15 anni e capo scout formato dal 2006.

Venerdì (4 maggio, NdR)  ho letto con rabbia e un filo di stupore l'articolo di Repubblica.it dal titolo "Gli scout cattolici e l'omosessualità - I capi gay sarebbero un problema".

La prima cosa che ho fatto è condividerlo su facebook con molto sdegno e, lo ammetto, vergognandomi del mio essere scout... Alla sera però mi sono ritrovato a parlarne con una mia amica scout e alcune amiche di Meladailabrianza: superata la rabbia iniziale ci siamo interrogati sulla veridicità dell'articolo, in quanto siamo ben consci dell'abilità dei giornalisti nel dire solo quello che gli fa comodo. Quindi mi sono fatto forza e ho promesso di leggermi tutte le 40 pagine del convegno a cui l'articolo faceva riferimento.


Al convegno sono stati invitati a parlare tre "esperti" a titolo personale, nonostante alcuni di essi abbiano un passato o un presente nell'associazione.
Andiamo ad esaminare gli interventi. Cercherò di essere breve, ma non troppo.



Il primo a parlare è Padre Francesco Compagnoni Assistente ecclesiastico nazionale del MASCI, il movimento degli scout adulti che però è slegato dall'Agesci (l'associazione chiamata in causa nell'articolo). Dal suo intervento si capisce chiaramente la sua posizione..
Il religioso inizia sottolineando la netta differenza tra omosessualità e pedofilia (e viva iddio) e invitando gli omosessuali a praticare la castità, richiesta legittima da parte di un rappresentante della chiesa verso i suoi fedeli, anche eterosessuali, non sposati. Tra i quali dovrebbero rientrare i capi scout cosiddetti cattolici.
Purtroppo poco dopo scivola sul gradino degli stereotipi sui gay “ il capo omosessuale ha un
vantaggio rispetto agli altri capi: in linea generale ha tendenze artistiche, è molto sensibile, è
dotato per le relazioni personali. Spesso una persona omosessuale nei rapporti affettivi ha un
vantaggio rispetto agli altri capi che faticano a comunicare con i ragazzi.”
Ma non si ferma qui. Tornando all'argomento principale, cioè la possibilità per un omosessuale di essere anche capo ed educatore afferma: “Il capo trasmette dei modelli e i capi che praticano
l’omosessualità, o che la presentano come una possibilità positiva dell’orientamento sessuale,
costituiscono un problema educativo.” e poi rincara la dose. Pur riconoscendoil valore di ogni insividuo, afferma che non tutti i comportamenti hanno uguale dignità umana ne
lo stesso valore morale: “la tolleranza va insegnata ai ragazzi, ma prima di tutto va insegnata ai capi, la distinzione tra il giudizio sui comportamenti e quello sulle persone. Non tutti i comportamenti hanno lo stesso valore e la stessa dignità umana ma tutte le persone lo hanno.”
Nell'ultimo punto del suo intervento vorrebbe tirare le conclusioni sull'argomento, ma lascia molti sottintesi e molti non detti. Però certe affermazioni restano chiare e limpide.


È ora il turno della prof. Manuela Tomisich,  psicologa e psicoterapeuta, nonché docente all'università Cattolica di Milano. Nessuna esperienza nello scoutismo, se non delle consulenze.
La docente inizia soffermandosi sulla questione della differenza di “gender”, perché “giustamente si riprendeva l’idea che l’essere uomini e donne in maniera diversamente declinata, ha che fare con i modi che in un determinato contesto sociale culturale storico sono elicitabili.”(elicitare v. tr. . – In psicologia, riferito a comportamenti o condotte, stimolarli, ottenerli mediante domande o altri stimoli). In pratica essere donna o uomo nel 2012 è molto differente da quello che voleva dire essere donna o uomo solo dieci anni fa.
Essere uomo o donna, continua, è una scelta, ed è una scelta il modo di vivere questa rappresentazione sociale: “l'identità non è una cosa data una volta per tutte, ma trova nel periodo adolescenziale forse il suo momento più critico e poi la sua costruzione dura tutta la vita.”. Si sta parlando ancora di identità generale, non nello specifico dell'identità o orientamento sessuale.
La dottoressa poi si dilunga sulla questione concludendo con una riflessione sulla scelta:  “ogni scelta in qualche modo ci porta a dover avere a che fare con degli elementi che dicono cosa è importante davvero per ciascuno di noi, quali sono i nostri valori, qual è la nostra gerarchia rispetto a essi. Oggi uno dei comportamenti che sta emergendo negli adolescenti è quello dell’astensione dalla scelta: ci sono, infatti, molti adolescenti che di fatto si astengono dalla scelta”.
 E ricollegandosi al tema aggiunge “In questo senso scegliere è sempre faticoso e doloroso tuttavia ma è anche bello perché è l’azione che consente a ciascuno di essere unico e  rappresentativo di sé e della propria specificità. Questo discorso e i vari elementi che abbiamo esaminato, ci portano a dire che proprio in quest’ottica il tema dell’omosessualità è un tema molto complesso (…) Dal punto di vista psichico l’omosessualità è un'identità che richiede un percorso faticoso di
esposizione e di quel che viene definito di “coming out”, cioè della capacità di esporsi con se
stessi e con gli altri. È su questo punto che il tema diviene un tema sociale dove si pongono non indifferenti problemi.
Esporsi vuol dire scegliere i modi di essere,di esprimersi, di porsi con gli altri e tutto questo
ha a che fare con il grande tema dell’educazione alla sessualità.(...)
È quindi importante la consapevolezza da parte di un adulto di vivere gli impulsi sessuali e collocarli all’interno di una precisa cultura, e in una determinata epoca storica (la nostra) con le attese complesse che vengono da un contesto sociale molto articolato. Allora questa costruzione
di identità per la persona omosessuale è una costruzione estremamente faticosa che purtroppo
nel momento del “coming-out” viene fuori spesso ponendosi “contro” e  non dicendo della propria fatica a costruire la propria identità.”.
In conclusione la docente non si sbilancia sulla possibilità o meno per un capo omosessuale di continuare a svolgere il suo servizio, ma dà ai capi presenti degli spunti di riflessione sulla questione, lasciando (giustamente) a loro la possibilità di fare le proprie valutazioni con una maggior conoscenza.


Parla per ultimo il dr. Dario Contardo Seghi psicologo e psicoterapeuta, capo scout   per circa dieci anni in ogni branca e poi capo gruppo per altri sei.
Il suo discorso è ben sintetizzato nella sua premessa che ricopio pari-pari: “ Il nostro obiettivo non
è quello di capire il più possibile sull’omosessualità: ci sono moltissimi libri e il tema è troppo
complesso. Vogliamo capire alcune cose però in modo chiaro. Il mio intervento sarà costruito su
tre passaggi: inizialmente parlerò dal mio punto di vista, per quello che io ho potuto cogliere, dello sviluppo psicologico in riferimento allo sviluppo dell’identità sessuale.
In un secondo tempo farò un collegamento fra il percorso di sviluppo psicologico e il percorso
scout, per sottolineare certe analogie.
Infine tratterò i criteri per la verifica dell’educatore scout. Questa ultima parte la tratto perché se è vero che non dobbiamo tornare a casa con delle risposte, per noi il problema di fondo però è quello di capire se e in che modo sia possibile per una persona che vive la condizione dell’omosessualità fare servizio educativo.”
Facendo scorrere velocemente il nastro mi soffermo su una sua affermazione che in quanto capo ed educatore non posso che condividere:
 “A partire dagli anni ’70 gli psicologi americani hanno diffuso l’idea che se noi non trasferiamo valori ai bambini essi diventeranno degli adulti liberi. Questo assunto ha prodotto disastri educativi: se su quella lavagna non scrivono i genitori e non vengono trasferiti modelli
sicuri e chiari di testimonianza, non di parole, allora c’è la confusione, perché su quella lavagna
scrivono tutti. Quindi il bambino diventa insicuro, incapace di fare scelte perché timoroso di
tutto, con il problema di una costante ricerca di modelli che lo porta a identificarsi con chiunque
e con qualsiasi cosa. Educare significa scegliere e proporre.”
Il discorso poi continua e il relatore afferma tranquillamente che  “Tutti noi abbiamo bisogno di
vivere una relazione omo-affettiva, senza la quale non possiamo arrivare a una eterosessualità.” e che anzi una mancanza di questa può portare allo svilupparsi di una tendenza omosessuale.
La questione in realtà si declina in maniera differente per i maschietti e le femminucce, ma non è questo che ci interessa ora...quindi salterò a piè pari tutta la parte sullo sviluppo dell'infante e sul complesso di Edipo
“Non è un’ideologia che noi seguiamo” continua poi dopo la lezioncina “ma solo i bisogni dei ragazzi (...) e solo a quelli rispondiamo con quell'intenzionalità educativa che ogni capo dovrebbe avere.”. “E fra le attenzioni educative che dobbiamo avere, è fondamentale il tener conto della paura dell’omosessualità nell’età del reparto. Questo elemento va trattato e non ignorato”.
Ben venga quindi il parlarne mi verrebbe da pensare.
Poco prima di concludere condivide con gli ascoltatori il suo pensiero: “direi che l’identità maschile e femminile sono plastiche e hanno bisogno anche di essere orientate e aiutate.
Da ciò deriva che le tendenze o le spinte sessuali intime dei capi secondo me non sono criteri di selezione. In primo luogo perché non si possono cogliere e secondariamente perché possiamo
avere un capo con tendenze omosessuali bravissimo e capace, e uno eterosessuale con limiti tali per cui la comunità capi deve porsi il problema se sia corretto affidargli l’educazione dei ragazzi.”.
Valutiamo quindi il capo (sia etero che omosessuale) per come fa il capo e non per quello che è nella sua vita intima e privata.
Collegato al tema, ma valido anche per tutti i capi, si sofferma poi su un pericolo maggiore: la mania di protagonismo del capo, declinato nel caso di capi omosessuali, nell'opportunità o meno di di fare un coming out pubblico. “Questa situazione può non essere opportuna in riferimento al percorso di crescita dei ragazzi.” afferma, “come non è opportuno pubblicizzare con essi la propria adesione ad un partito politico”.
Dopo alcune domande dei presenti conclude con quest'affermazione, estremamente opposta a quanto detto dai giornalisti.
“Noi”, e dei tre credo sia l'unico a potersi permettere di parlare a nome dell'Agesci,  “non squalifichiamo nessuno come persona e  non giudichiamo un orientamento ma cerchiamo
di far comprendere alle persone di una comunità capi che si trovano a vivere la condizione
dell’omosessualità, quale sia la scelta più opportuna, scelta a cui anche loro stesse potranno arrivare con una certa chiarezza. Scelta che potrà essere di rimanere o non rimanere a seconda
dell’opportunità, ma in maniera libera e serena.”
L'agesci quindi, con il suo UNICO rappresentante non dichiara di voler negare ai capi omosessuali la possibilità di svolgere servizio nell'associazione, ma lancia delle provocazioni e degli spunti che risultano spendibili su qualunque problematica possa risultare contrastante la cosiddetta “normalità” di un capo. Tra l'altro, anche fosse, gli atti del convegno non hanno alcuna valenza normativa.
L'unica cosa (e poi concludo) che ancora infastidisce me ed alti capi come me, è che da parte dei vertici dell'associazione non ci sia stata un'immediata e chiara risposta all'articolo in questione.
Ma qualcosa, a tutti i livelli si sta muovendo, e ben vengano queste riflessioni e questi scontri, se vissuti in maniera costruttiva.


Link utili:


Kikko - Formichiere Sincero


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