martedì 1 aprile 2014

#iocimettolafaccia: LA JU FRANCHINA

Questa è la storia di Ju.
Una storia nella quale si racconta come tutta la bellezza possa svanire in un attimo.
Una storia di un'anima in esilio, ritornata a vivere.

La storia di una vita, che è una canzone, ancora tutta da scrivere.


Cominciamo con le presentazioni. 
Chi sei? Quanti anni hai? Cosa fai nella vita?
Sono Ju, che da simpatico soprannome si è trasformato nel nome ufficiale con cui tutti mi conoscono. Per pochi giorni ho ancora ventisei anni poi dal 21 Marzo eseguirò un aggiornamento di stato a +27. Per vivere faccio l'impiegata-centralinista presso una litografia/etichettificio in provincia di Bergamo.

Ora, per conoscersi meglio. Dove sei nato/a e cresciuto/a? Come ‘è stata la tua adolescenza?
Sono nata e cresciuta tra le montagne e il fumo delle fabbriche della ex ridente Valle Seriana e fino a quattordici anni sono stata un fagotto di ignoranza. Mio padre faceva di tutto perchè mettessi un piede in una biblioteca, ma io niente. Facevo un'eccezione per “Cioè”, era l'unica forma di lettura che frequentavo con assidua fedeltà. L'uscita di “Cioè” in edicola era l'evento che determinava il mio personale inizio di settimana. Non a caso mio padre, mi diceva spesso con un sorriso dolce “Ju, tu ignori.”  “Cioè” lo compravo per far finta di essere come tutte le mie amiche ma io in verità mi sono sentita spesso sola e sbagliata, come un uovo rotto. Poi, crescendo ho scoperto di non essere nessuna delle due cose e piano piano ho smesso di temere un mondo che, comunque, era pronto ad accogliermi se solo avessi sorriso un po' di più. 
E poi ho incontrato persone che anziché farmi sentire “diversa” come io sentivo di essere, mi hanno fatto sentire a casa. Una di queste persone è una di quelle che più rappresentano e raccontano la prima parte della mia vita e si chiamava Giovanni. 
Giovanni l'ho conosciuto alle superiori, dove ero la classica bulla della scuola e lui il classico sfigato emarginato. Credevo in un mondo migliore, forse inesistente, un mondo che mio nonno mi aveva fatto conoscere con i film di James Dean, Marilyn Monroe e John Wayne. Anche se ero diventata un po' bulla continuavo a sentirmi vuota e inesistente, spesso stupida. Giovanni, lo incontrai per caso sull'autobus nel bel mezzo del deserto esistenziale e non so perché ma quel giorno mi sembrò che lui mi guardasse con un'aria diversa dal solito e così iniziammo un'avventura tutta nostra. Io avevo sedici anni, lui diciasette e furono i due anni più belli della mia vita. Con Giovanni ho capito che potevo diventare davvero una persona migliore e avevo anche il miglior ragazzo del mondo a cui piaceva un sacco che io fossi un po' stramba, forse perché lui aveva un sacco di regole rigide imposte dalla sua famiglia. Avevo tutto ed ero libera e quando hai la libertà, possiedi tutto. 
Giovanni era biondo, un po' sbadato, emotivo come me, era altruista e disponibile con tutti, un termosifone acceso a temperatura costante, come io vorrei essere e non sono. Un giorno mi ha detto che stava male, aveva la leucemia. Dal giorno che me l'ha detto  è cambiato tutto, è stato come entrare in una festa a cui nessuno dei due era invitato. Di colpo, insieme, abbiamo dovuto prendere dimestichezza con le sedute di chemioterapia, di radioterapia, con la febbre da cavallo, le notti insonni, il vomito, le lacrime infinite, i buchi sulle braccia e tutta una serie di cose che la gente è abituata a vedere in tv, ma che per quasi un anno sono state la nostra vita.
Grazie a Giovanni ho imparato ad amare i Beatles (un po' meno i Rolling Stones), Lucio Battisti e il mio prossimo. Giovanni mi ha insegnato a stare bene in mezzo alla gente, a portare rispetto ai più deboli e a non soffrire troppo per la sordità e la cecità del mondo nei confronti di noi sensibili. 
Giovanni è morto prima che io dessi la maturità. Morì con me vicino, era aprile. Una delle ultime cose che mi ha detto prima di morire è stata che era orgoglioso di essere stato il mio fidanzato e che non avrei dovuto mollare mai per niente al mondo perché ero in gamba. 
Tutta la bellezza della vita svanì in un attimo. Non penso di aver mai pianto tanto in vita mia e il funerale manco me lo ricordo, se non per due o tre fotogrammi. Ruppi i miei rapporti con tutti e di lì a poco passai il periodo più cupo della mia vita: una depressione totalizzante mi avvolse e mi stravolse. Non uscivo, non mangiavo, non vivevo. La rabbia e il senso di inutilità si impossessarono di me e mi rubarono tutto per anni, dal sorriso alla voglia di alzarmi dal letto. Passavo giornate intere nella mia camera, al buio, a letto, provando a dormire per non pensare. Ma anche i sogni possono far male, allora mi svegliavo, mangiavo e riprovavo. La depressione è un male profondo, assoluto. E' più buia del nero e più trasparente dell'aria ma è un vento che passa e le cicatrici che lascia possono essere perfino attraenti. Il problema è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere, è invisibile e non è uguale per tutti. Sono stati anni infami, anni in cui mi sono detta che era inutile vivere così, il tempo triste mi sembrava perso. Poi una sera di dicembre, una voce alla tv mi ha fatto piangere lacrime di gioia e ho sentito che l'esilio della mia anima era finito, si ritornava a vivere.

E ora che sei grande, com'è la vita? 
E come la riempi?
Adesso che sono una bambina cresciuta la vita è una canzone tutta da scrivere e io la scrivo con le mie parole, che sono il mio “secondo lavoro”. Ho un blog che ho chiamato “Machissenefrega!” perchè è un'esclamazione che uso spesso e scrivo su un piccolo giornaletto gratuito che si chiama “New Entry”. Le parole mi piacciono un botto perché secondo me sono come delle finestre che si spalancano; da ogni parola si può guardare fuori o dentro. Credo che le parole aprano le cose. 
Quando mi sento schiacciare e ho le lacrime alle porte degli occhi, dipingo. 
Ho un amore incondizionato per Marco Mengoni e il suo sorriso e un giorno mi piacerebbe abbracciarlo forte, fortissimo.

Quando è stato e (soprattutto) qual è stato il tuo coming out più importante?
Quello con la mia famiglia. Alla quale ho aperto tutto il mio cuore perché ero innamorata della persona con la quale credevo di passare il resto della mia vita. La mia famiglia, di risposta, mi ha aperto la porta di casa. I miei genitori mi hanno detto che per una “diversa” non c'era più posto in casa, hanno tolto tutte le mie fotografie, hanno smesso di parlarmi, uscivano se io entravo in una stanza dove c'erano loro. Allora, ho cercato di prendere dimestichezza con questa nuova occasione che la vita mi stava regalando, ho iniziato a preparare il più velocemente possibile tutte le mie cose e mi sono messa alla ricerca di una casa dove iniziare la mia seconda vita. Con la mia famiglia non ci siamo né parlati, né visti, né sentiti per cinque mesi. Poi il 21 marzo dell'anno scorso, ho chiamato mia mamma per farle gli auguri di buon compleanno (io e lei compiamo gli anni lo stesso giorno) e tra le lacrime le ho detto “Io quest'anno non ti regalo niente perché sarebbe da ipocrita, però se vuoi apri il mio cuore perché l'amore è universale, non ha etichette, quando uno ama, ama e basta”.

Meladailabrianza dice sempre che “Per ottenere diritti, bisogna avere visibilità; per avere visibilità, bisogna metterci la faccia”. Tu che significato dai al “metterci la faccia”?
Per me “metterci la faccia” vuol dire scegliere la verità con le sue carezze e il tempo che ci va (la rima non era voluta). In tutto il mondo si afferma il diritto alle unioni gay e in Italia siamo ancora nella fase medioevale “meglio un figlio ladro che frocio” e a darsi di gomito se passa un omosessuale e poi le matte risate.
Poi c'è l'esilarante schiera di chi ti dà del frocio se sostieni la causa gay, riducendo una questione gravissima di civiltà a una banale diatriba sui gusti sessuali. Il terzo mondo culturale è qui. Credo che nemmeno i figli di mio nipote vedranno due persone dello stesso sesso potersi unire davanti alla legge. 
Se ripenso a quel ragazzino di quindici anni che si è tolto la vita perché veniva deriso e chiamato gay attraverso Facebook in un gruppo creato contro di lui, mi sento stupida perché non ho potuto fare niente per lui. La strana idea che molta gente ha della libertà è alquanto bizzarra, non trovi? Nascondendosi dietro l'anonimato, sfogando sugli altri i propri malumori, vantando una finta forza dietro la debolezza di chi non dice nulla quando può guardarti in faccia. Ad essere stronzi e fastidiosi ci riescono tutti mentre la scelta contraria è molto più complessa, difficile e coraggiosa. La vera libertà è essere padroni dei propri desideri, screditare le vite degli altri anziché costruire la propria vita, lascia intuire che non si abbia qualcosa di sé di così bello da valorizzare. Come potrei non metterci la faccia?

Un episodio in cui ci hai “messo la faccia”?
Non c'è un episodio in particolare, preso singolarmente, in cui ci ho “messo la faccia”. Se mi guardo un po' indietro, la faccia ce l'ho messa sempre e continuo a mettercela perché camminare nell'onestà e nella verità è l'unica cosa che possiamo fare per andare avanti e scuotere l'immobilismo che aleggia in questo Paese dove la “diversità” è ancora uno stato di rischio. L'amore non ha sesso, ha senso. Solo quando questo mondo lo capirà, allora sarà davvero un mondo migliore. Credo che in questi tempi bui sia un dovere mettercela la faccia, anche perché il bello non è quello che ho vissuto ma tutto quello che ho ancora da vivere.

Un augurio o auspicio da lasciare a chi ci legge...
Innanzitutto, di essere. Che rimane in assoluto il viaggio più bello. Tenetevi stretti i ricordi, le persone della vostra infanzia. È dura, ma quando resistono al passare del tempo e nel palmo riuscite a tenerrne un paio, vi assicuro che poi durano per tutta la vita. Come guardare un fiume che ha acqua se hai sete ed è secco se vieni da giorni di pioggia. Vi auguro di fare come il vino, che nasce nella vigna ma diventa grande in cantina, vale per un sacco di cose. Poi vorrei augurarvi il coraggio di guardare sempre negli occhi la persona che amate, di essere abbracciati ogni volta che siete tristi, di essere chiamati “Amore” da chi non vi stuferete mai di chiamare a vostra volta “Amore”, di essere scelti tra la folla perché i vostri occhi hanno urlato e qualcuno li ha sentiti. Vi auguro di poter dire a qualcuno “a domani” ogni sera, di non tuffarvi mai nel passato e annegarci, di non abituarvi mai alle persone che amate. Vi auguro di scoprire (o riscoprire) la forza motrice dell'amore, l'unico sentimento in grado di rinnovarci, continuamente. L'amore ha un diametro ed è in questo cerchio che dobbiamo danzare. Vi auguro di non arrivare mai a pensare che non ne vale la pena e vi auguro di non aspettare troppo per tutto questo.


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