Già una volta avevamo scomodato il signor Stéphane Hessel.
E ora lo facciamo di nuovo.
«Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire
“io non posso niente, me ne infischio". Comportandovi così, perdete una
delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti
indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta
conseguenza». [cit. Stéphane Hessel, "Indignatevi!"]
Solo una volta letta e riletta questa frase e capitone il
suo senso, si può proseguire.


“La violenta aggressione di Torino racconta di un paese
in cui omofobia e violenza contro gay lesbiche e trans sono ancora presenti,
minacciose e al tempo stesso sorprendenti - ha affermato la presidente
nazionale di ArciLesbica Paola Brandolini, che si augura che il 22 luglio - approdi
in Aula e sia votata una legge contro l’omofobia che sancisca in modo chiaro e
inequivocabile che anche in Italia violenza e discriminazione verso lesbiche,
gay e trans sono reati”.
Contrario ad una legge sull'omofobia si è però detto il
senatore Lucio Malan: “L’aggressione a Torino a partecipanti a una festa gay è
un fatto da condannare con fermezza, così come è doverosa la solidarietà con le
vittime. Ma la legge sull'omofobia è un’altra cosa. Il testo attualmente in
commissione è troppo ampio e generico e si presta ad estensioni arbitrarie, ad
esempio a danno di chi sia contrario al matrimonio gay o a chi, per motivi
religiosi, ritenga l’omosessualità un peccato”.
Cosa ci si voleva aspettare? È l’Italia. Il paese in cui se
viene picchiato a sangue perché sei omosessuale, condanniamo il gesto,
ma aspettiamo un po’ a prendere decisioni affrettate in fatto di leggi.
E così questi quattro ragazzi rimarranno senza giustizia,
con le loro cicatrici addosso e con la consapevolezza che il mondo in cui
vivono non è poi il massimo.
Come Gianluca.
Come Luigi e Nicolas.
Come Giulio e Simone.
E come tanti senza nome.
Italia, indignati.
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