martedì 29 aprile 2014

#iocimettolafaccia: ILARIA FACCI

Shakespeare diceva: "È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti".
Per Ilaria, la luna, è stata una donna. Ma poi ne è arrivata un'altra, che invece aveva l'aspetto del sole, che ha riportato la luce nella sua vita. 


Mi chiamo Ilaria.
Chi sono io? Fino a sei mesi fa ero ben sicura di ciò che ero: una trentenne, etero, che lavorava nella moda. Abitavo a Milano.
Una ragazza 'normale', anche se non mi sono mai soffermata troppo su questa parola. Ogni tanto qualche ombra sulla testa, ma nulla di che, mi dicevo, vai avanti, Ilaria. Vivevo la mia vita per niente semplice. E per niente complessa.
Ma poi è apparsa Francesca.
E mi sono innamorata come non mai. 'Che importa se è una donna? E' lei. Lei è i miei occhi'. Impazzivo di gioia. E d'improvviso, il crollo.
D'un tratto ho iniziato a piangere, senza capirne il perché, e senza più smettere; mi sentivo persa. Nuda. Vuota.
La disperazione ha iniziato a mangiarmi dentro, fino a rendermi cieca. Improvvisi, affioravano i ricordi dal passato. Doveva essere colpa sua, di Francesca, o della violenza subita da adolescente, o di mio padre inesistente. Doveva essere di uno di loro la colpa di questo dolore inspiegabile, apparso nel momento più felice. Vedevo la mia vita come un vortice di forze che mi schiacciava. Il mondo si divertiva a soffocarmi. Ed ho continuato così, per mesi. Sola, ormai incapace di reagire; senza sapere contro chi stessi lottando, ma già sconfitta. Mia madre, preoccupatissima, mi obbligò ad andare da lei, a Londra. Senza alcun miglioramento ripetevo così lì le mie giornate, in pianti inutili e continui. 
Ed è stato dal silenzio, che è apparsa Sabina.
Lei era un contatto di lavoro su Londra; mi chiedeva di prenderci un caffè. Mi sono trascinata fuori di casa con l'entusiasmo di un bimbo che, dopo le vacanze, torna a scuola.
Ma sono andata a quell'appuntamento.
Ed in un solitario Starbucks lei mi ha parlato del Buddismo (di Nichiren Daishonin) e dell'Associazione Soka Gakkai. Diffidente, ma curiosa, mi sono avvicinata lentamente alla pratica buddista. 
E grazie ad essa, col tempo, ho finalmente capito: la mia battaglia non era altro che contro me stessa. Ed ho ricordato gli infiniti segnali che la vita mi aveva mandato, da sempre.
Ho visto.
Io sono lesbica. E sono libera.
Finalmente libera dai giudizi di me stessa, su me stessa. 
Chi sono io? Una persona che sta imparando ad amare. E solo questo importa.


domenica 27 aprile 2014

#iocimettolafaccia: ELEONORA STOLFI

Questa è la storia di Eleonora. Ed è una storia fatta di libertà.
La storia di una giovane donna che ha fatto le sue scelte e se ne è presa le proprie responsabilità: la storia di chi ha avuto la forza di non accontentare gli altri, di non perdere se stessa.

Cominciamo con le presentazioni. Chi sei? Quanti anni hai? Cosa fai nella vita? 
Ciao, sono Eleonora, ho 32 anni e lavoro per la telefonia ma è da una vita che provo a fare la musicista. Scrivo e sono la voce del progetto elettro pop PlasticnoirConvivo a Milano con la mia compagna Margherita da 2 anni e per un anno abbiamo vissuto a distanza per la mia permanenza a Londra dove ho lavorato e frequentato l'accademia di musica contemporanea a Kilburn.

Ora, per conoscersi meglio. 
Dove sei nato/a e cresciuto/a? Come‘è stata la tua adolescenza?
Sono nata a Vigevano, in provincia di Pavia. Ho frequentato il liceo scientifico Cairoli ed è lì che ho iniziato con le mia prima band, la mia prima cotta per una donna e la prima lunga storia con un ragazzo. Sono stata un'adolescente davvero timida ed introversa, passavo dall'altra parte del marciapiedi se incrociavo sguardi di estranei. Ho da sempre avuto un rapporto quasi simbiotico con mamma e con lei ho affrontato varie vicissitudini familiari ed un rapporto conflittuale col mio corpo. Lo sport e la musica mi hanno aiutato pian piano a vivermi interamente e ad esprimermi con gli altri nella mia interezza. Ho avuto alcune storie con ragazzi ed una durata 5 anni, lui era la sicurezza, non avrei mai trovato una ragazza in un paese piccolo e provinciale. Questo era quello che credevo. L'ho amato a mio modo, ma quello che vinceva era il disegno che gli altri desideravano per me. Avevo paura di deludere. E' stato comunque un ottimo compagno di viaggio e di musica, altrimenti potrei darmi solo della schizofrenica.

E ora che sei grande, com'è la vita? E come la riempi? 
Oggi ho una famiglia. Anzi più di una: mamma e mio fratello minore e quella con la mia compagna....proprio l'altro giorno le ho detto:”Con te ho sposato un palazzo”, perchè la mia famiglia “adottiva” è composta da un meraviglioso gruppo di ragazzi, oggi un po' in giro per il mondo, le mie Fate Ignoranti. In questi anni ho vissuto 3 convivenze, compresa quella attuale e posso dire che in ognuna ho incontrato 3 me diverse, credo sempre più evolute...almeno oggi è quello che sento di dire in base alla mia serenità sempre maggiore. Io e Marghe vorremmo tornare insieme a Londra o comunque in un posto dove essere riconosciute come coppia, lei vuole un cane (io preferirei un figlio)ed io “giocare” ancora un po' sul palco senza sentirmi in dovere di giustificarmi con un lavoro “normale” come a volte qui accade.

Quando è stato e (soprattutto) qual è stato il tuo coming out più importante? 
Il giorno del mio diciannovesimo compleanno scrissi una lettera a mamma. Lei era sull'autobus, stava andando a lavoro. Mi chiamò chiedendomi dov'ero, ci siamo incontrate, mi abbracciò in lacrime e mi chiese se c'era qualcosa che non aveva capito nella lettera, se aveva travisato, se ero gay. Le risposto che non lo sapevo, che non capivo più nulla, che forse sì. Mi disse che dovevo essere felice. Sono stata fortunata. Mamma ha accolto tutte le mie famiglie e “l'ingombranza” della mia inquietudine fino a quel giorno.

Meladailabrianza dice sempre che “Per ottenere diritti, bisogna avere visibilità; per avere visibilità, bisogna metterci la faccia”. Tu che significato dai al “metterci la faccia”? 
Credo sia non far finta che una carezza sia una pacca sulla spalla, che uno sguardo complice sia un'intesa tra amiche o che due mani sul tavolo di un bar possano stare anche lì una sopra l'altra anche quando arriva la cameriera.

Un episodio in cui ci hai “messo la faccia”? 
Al penultimo provino di X-Factor, prima di esibirci, alla domanda di Simona Ventura “Siete amiche o sorelle?” risposi “Compagne”. Facemmo successo sul pubblico e sui giudici. Arisa urlò ed alzò le braccia. Queste reazioni così entusiasmanti mi fanno sorridere. Ce la faremo!

Un augurio o auspicio da lasciare a chi ci legge … 
La vita è davvero nostra. Io mi sono tolta qualsiasi rimpianto. Ho scelto e preso le responsabilità delle mie scelte. Auguro a tutti di avere la forza di non accontentare gli altri e svuotarsi o perdere se stessi. Siate liberi.


venerdì 18 aprile 2014

#iocimettolafaccia: MILENA CANNAVACCIUOLO

Una vita piena di peli di gatto, di mozziconi di sigarette e di continui progetti con Elena.
Questa è quello che racconta di sè Milena.
Amica e sostenitrice di Meladailabrianza, cosa di cui non la si ringrazierà mai abbastanza, è la fondatrice di Lezpop. Sì, qui ci sta quel "uuoooh".
Milena è passata di qui giusto per ricordare che prima o poi tutte le facce saranno uguali.


Cominciamo con le presentazioni. Chi sei? Quanti anni hai? Cosa fai nella vita?
Mi chiamo Milena, ho 38 anni, mi occupo di comunicazione web e due anni fa ho fondato Lezpop.it, di cui sono attualmente responsabile editoriale. Lezpop è il primo sito italiano che si occupa di cultura LGBT con un occhio di riguardo alla "L" dell’acronimo.

Ora, per conoscersi meglio. 
Dove sei nato/a e cresciuto/a? Come‘è stata la tua adolescenza?
Sono nata in un paesino della provincia di Napoli, uno di quei posti famosi per tre motivi: la camorra, la spazzatura e il Vesuvio che incombe. Nonostante tutto, ho dei bei ricordi della mia adolescenza, o per meglio dire, i ricordi brutti ce li hanno gli altri: da adolescente era una bulla. Non ho mai picchiato a nessuno, sia ben chiaro, ma con la lingua lunga che mi ritrovo ho preso in giro parecchi miei coetanei. Il motivo? Non volevo che nessuno mi si avvicinasse troppo. Se l’avessero fatto, avrebbero scoperto quella che all'epoca consideravo una debolezza: a differenza delle mie amiche, il cuore non mi batteva per il fidanzatino di turno, ma per la mia compagna di banco.

E ora che sei grande, com'è la vita? E come la riempi?
Premesso che non credo di essere ancora diventata davvero grande - un po’ soffro di una banalissima sindrome di Peter Pan, un po’ sono troppo curiosa e a volte mi ritrovo ad osservare il mondo con lo stesso stupore che avevo a cinque anni - oltre a Lezpop, la mia vita è piena di peli di gatto, di mozziconi di sigarette e di continui progetti (che spesso rimangono tali) con la mia compagna, Elena.

Quando è stato e (soprattutto) qual è stato il tuo coming out più importante?
Il coming out più importante è stato anche il primo. Con la mia migliore amica eravamo sedute sui gradini della Facoltà di Giurisprudenza a Napoli, era la primavera del 1994, c'era tanto sole e il solito via vai di studenti, ed io, timida e impacciata, provavo a dirle che sì, insomma, T. mi piaceva. E non in senso amichevole. Dopo un quarto d'ora passato a balbettare e formulare frasi senza senso, la mia amica mi sorrise e mi disse: «Bene, allora bisogna trovare il modo di farti uscire con lei». Fu un sollievo e anche una fortuna: se non avessi trovato una persona così tranquilla, probabilmente sarebbe stato più difficile muovere i primi passi da giovane lesbica di provincia, anche perché all'epoca mi sembrava tutto così confuso e complicato.

Meladailabrianza dice sempre che “Per ottenere diritti, bisogna avere visibilità; per avere visibilità, bisogna metterci la faccia”. Tu che significato dai al “metterci la faccia”?
Metterci la faccia vuol dire tante cose. Vuol dire raccontare a colleghi e amici della propria compagna o del proprio compagno. Vuol dire sorridere al fioraio e dire: "Sì questi sono per la mia fidanzata". Ma vuol dire anche rispondere a tono quando qualcuno fa delle battute poco carine sui gay: "Sono anch’io così è certe battute non mi piacciono". Certo, non sempre è facile, e non per tutti è possibile, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. E farlo nei piccoli gesti quotidiani ci aiuta a vivere meglio, ma serve anche ad "educare" gli altri.

Un episodio in cui ci hai “messo la faccia”?
Ce ne sono tanti. Quando, anni fa, ho invitando Elena alla cena aziendale facendo coming out con tutti, colleghi e capi. Ma anche quando ho deciso di realizzare Diversamente Etero, un documentario sulla (scarsa) rappresentazione delle lesbiche nella televisione italiana. C'ho messo un po' a prendere "coraggio", anche perché se qualcuno cerca il mio nome su Google i primi risultati sono legati al documentario. Ma sarebbe stato disonesto realizzare un lavoro sull'omofobia in Italia e non "metterci la faccia".

Un augurio o auspicio da lasciare a chi ci legge …
L’augurio è che a furia di mettercela la faccia arrivi il momento in cui non sarà più così indispensabile, anche perché le "nostre" di facce sono esattamente uguali alle "altre".


mercoledì 16 aprile 2014

#iocimettolafaccia: LORENZA SOLDANI & INGRID LAMMINPAA

A questo punto la chiami MOGLIE”.
Questo dice Lorenza, parlando di Ingrid, alla loro padrona di casa ottantenne.
Ed è giusto così. È normale così. È banale così.

Ed è proprio di questa sconosciuta banalità che quest’intervista parla.
Della banalità delle cose normalissime, come scegliere il catering per il proprio matrimonio.
O del farsi conoscere per abbattere tutti i pregiudizi.


Una ricercatrice sociale ed un’insegnate di Comunicazione e Mass Communication.
Lorenza Soldani e Ingrid Lamminpaa.
Una storia d’amore che dura da otto anni, dal 2005. Coronata con un meraviglioso matrimonio lo scorso anno.
Un matrimonio, il loro, che ha riunito generazioni davanti al pc, che ha incuriosito molti e che ha fatto sentire tutti coinvolti, quasi invitati. 
Sì, perché loro sono “quelle” di Leidissesì.

Potevamo forse non raggiungerle?

Io sono nata, cresciuta e viviamo tuttora a Firenze - racconta Lorenza - Ingrid ha la doppia cittadinanza, è svedese di nascita”. Quando l’amore chiama, i confini non contano.
E poi è tutta una questione di aspettative, dice Lorenza. “Ti saresti mai immaginata di poterti sposare? No. Eppure l’abbiamo fatto. Non è una cosa che immaginavamo, eppure ce l’abbiamo fatta. Da adolescenti, invece, ti importa solo di riuscire a sopravvivere”.
Nella visibilità, tanto professata da Meladailabrianza, loro ci hanno costruito un intero progetto. Anche nelle scuole: “Perché i ragazzi che si trovano in una situazione difficile della loro adolescenza sono alla ricerca di punti di riferimento: vedere che ci sono persone omosessuali che hanno avuto e hanno una vita felice da loro motivazione”.
Una coppia normalissima”, ecco cosa sono Lorenza e Ingrid. Raccontano di avere la fortuna di vivere in una città come Firenze, tranquilla e molto friendly, e di avere amici molto lontani dell’uso di etichette. E sia pubblicamente che lavorativamente, non nascondono il loro rapporto.
E poi c’è il loro progetto principe: “Leidissesì è il nostro modo di metterci la faccia – raccontano – perché il blog è fondato e basato su un’idea apparentemente semplice, come quella del matrimonio. Abbiamo spinto su questo evento, proprio sottolineando gli step tradizionali: la scelta dell’abito, della location, del catering, la scelta delle fedi. Sono azioni normalissime, su cui abbiamo calcato la mano per evidenziare quanto siano banali”.

Metterci la faccia è raccontarsi, ed una cosa importante in cui crediamo. Raccontare la propria storia dà tutto un altro volto alla faccenda. Per scardinare i pregiudizi, bisogna farsi conoscere.” Parole sante.
Che poi, si parla sempre di persone come tutte le altre, che hanno il diritto di avere gli stessi diritti, le stesse tutele e gli stessi doveri”.


Che poi il karma ringrazia sempre: “Essere visibili e non nascondersi è sempre ripagato. E ne vale la pena”, raccomandano Lorenza e Ingrid.


martedì 8 aprile 2014

#iocimettolafaccia: MICHELA PASCALI

Questa è la storia di Michela, una splendida quarantunenne completamente realizzata: ha due figli stupendi, la passione per i cavalli, un cane, tanti gatti.
E ama Benedetta alla follia.


Cominciamo con le presentazioni. Chi sei? Quanti anni hai? Cosa fai nella vita?
Mi chiamo Michela Pascali, ho 41 anni e nella vita faccio l'impiegata statale per hobby, la mamma di Alessia e Lorenzo, 12 anni lei e 9 lui, come lavoro a tempo pieno.
Tutto il resto del mio tempo lo dedico ai cavalli e alla pratica del Qi gong e la meditazione in generale. Mi definirei lettrice famelica e sognatrice indefessa!

Ora, per conoscersi meglio. 
Dove sei nata e cresciuta? Come ‘è stata la tua adolescenza?
Sono nata a Lecce. Credo il mio essere salentina sia legato a qualcosa di ancestrale e magico. Amo il rosso argilloso e corposo di quella terra e rabbrividisco all'immensità del mare. Immensità che ho stentato a riconoscere anche quando avevo di fronte l'oceano. 
In realtà la mia infanzia mi ha voluta errabonda tra la Toscana prima, dove mio padre lavorava, il rientro temporaneo in Salento poi e Bologna, dove ci siamo trasferiti dopo la nascita di mia sorella più piccola e la sua grande battaglia presso l'ospedale Rizzoli per poter camminare.
Il giorno del nostro ritorno stabile in Salento avevo 9 anni all'incirca ed è a questa terra che sono legati i ricordi dell'adolescenza. Veloce, tormentata, solitaria nella mischia, la definirei un'adolescenza vissuta alla ricerca dell'indefinito!

E ora che sei grande, com’è la vita? 
E come la riempi?

Rispondo come risponderebbe mia figlia : "Mamma, tu non sei grande, sei vecchia!", per poi aggiungere che in realtà non ho definizione spazio-temporale e forse ha ragione Alessia perché riesco a sentirmi adolescente e vecchia insieme e il bello è che lo trovo meraviglioso! Ora che sono quarantunenne sono una donna in pace con me stessa perché sono una mamma; perché amo follemente la mia compagna, Benedetta; perché la mia grande amica Hari (il mio cavallo) mi fa volare nel vento; perché più che una famiglia siamo uno zoo (due cavalli, un cane e tanti gatti), perché amo la vita!

Meladailabrianza dice sempre che “Per ottenere diritti, bisogna avere visibilità; per avere visibilità, bisogna metterci la faccia”. Tu che significato dai al “metterci la faccia”?
Metterci la faccia è vivere e viversi. Metterci la faccia è non rivestire ruoli, ma percepire e trasmettere emozioni, è riconoscere il vero sé. 

Un episodio in cui ci hai “messo la faccia”?
Credo che uno degli episodi più esilaranti sia da riconnettere al lavoro!
Dovevo presentare una domanda per mie particolari esigenze al Ministero dal quale dipendo. Il mio collega disponibile e carino risponde ai miei quesiti con gentilezza fino a quando non gli chiedo se per caso la mia omosessualità potesse essere ostativa in qualche modo rispetto a quanto previsto dal regolamento. La sua espressione resterà per me ricordo indelebile di un genuino imbarazzo.

Ma soprattutto: perché tu hai scelto di metterci la faccia?
Ecco, ci metto la faccia per non vivere nella finzione, non vivrei! Per non sprecare la mia fantasia in bugie inutili e pesanti come catene! E per le espressioni di genuino imbarazzo, perché tutti gli episodi in cui c'ho messo la faccia mi rimandano al volto di chi avevo di fronte. Forse la faccia si ritrovano a mettercela loro nel dover affrontare ciò che li spoglia, nudi davanti a se stessi.

Un augurio o auspicio da lasciare a chi ci legge …
Il mio augurio è fatto di luce, quella che gli occhi conquistano quando non hanno più bisogno di maschera. Amare è divino. Essere amati è un dono meraviglioso che si nutre di sincera nudità. Ciò che è nascosto crea diffidenza, innalza barriere. E chi vuole semplicemente essere libero di amare non può essere alla ricerca di nemici. 



lunedì 7 aprile 2014

IL FRUTTO PROIBITO SI MANGIA AL LIBRA


E sarà proprio un amo teso al muscolo cardiaco quello che attirerà alle Officine Libra di Monza venerdì 11 aprile per la serata "Eva incontra Eva".

Un incontro di due donne, tra poesia e musica.
Appoggiata al bancone a sorseggiare un bicchiere di vino, portandosi un ciuffo ribelle di capelli dietro l'orecchio, la scrittrice leccese Alessandra Nicita che porterà le poesie tratte dal suo ultimo libro "Arrivò l'amore e non fu colpa mia".
Seduta comoda su una delle poltrone da barbiere che adornano il locale di via Buonarroti mentre finisce di accordare la sua chitarra, la cantautrice Sara Piolanti.

L'atmosfera giusta verrà creata dalle sapienti proiezioni del nostro vj Gp.
Gli sguardi fugaci verranno catturati dalla nostra Manuela.

Uno confronto che esploderà in un mare di parole e note.


Una dice: "Dentro di me, mettevo tutto tranne te. Io ero chiusa come una ferita".

L'altra risponde: "E se mi innamoro ancora, ti prego Dio, fa che non sia di venerdì".


"Il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela. 
Quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza"
[cit. Oriana Fallaci]


martedì 1 aprile 2014

#iocimettolafaccia: LA JU FRANCHINA

Questa è la storia di Ju.
Una storia nella quale si racconta come tutta la bellezza possa svanire in un attimo.
Una storia di un'anima in esilio, ritornata a vivere.

La storia di una vita, che è una canzone, ancora tutta da scrivere.


Cominciamo con le presentazioni. 
Chi sei? Quanti anni hai? Cosa fai nella vita?
Sono Ju, che da simpatico soprannome si è trasformato nel nome ufficiale con cui tutti mi conoscono. Per pochi giorni ho ancora ventisei anni poi dal 21 Marzo eseguirò un aggiornamento di stato a +27. Per vivere faccio l'impiegata-centralinista presso una litografia/etichettificio in provincia di Bergamo.

Ora, per conoscersi meglio. Dove sei nato/a e cresciuto/a? Come ‘è stata la tua adolescenza?
Sono nata e cresciuta tra le montagne e il fumo delle fabbriche della ex ridente Valle Seriana e fino a quattordici anni sono stata un fagotto di ignoranza. Mio padre faceva di tutto perchè mettessi un piede in una biblioteca, ma io niente. Facevo un'eccezione per “Cioè”, era l'unica forma di lettura che frequentavo con assidua fedeltà. L'uscita di “Cioè” in edicola era l'evento che determinava il mio personale inizio di settimana. Non a caso mio padre, mi diceva spesso con un sorriso dolce “Ju, tu ignori.”  “Cioè” lo compravo per far finta di essere come tutte le mie amiche ma io in verità mi sono sentita spesso sola e sbagliata, come un uovo rotto. Poi, crescendo ho scoperto di non essere nessuna delle due cose e piano piano ho smesso di temere un mondo che, comunque, era pronto ad accogliermi se solo avessi sorriso un po' di più. 
E poi ho incontrato persone che anziché farmi sentire “diversa” come io sentivo di essere, mi hanno fatto sentire a casa. Una di queste persone è una di quelle che più rappresentano e raccontano la prima parte della mia vita e si chiamava Giovanni. 
Giovanni l'ho conosciuto alle superiori, dove ero la classica bulla della scuola e lui il classico sfigato emarginato. Credevo in un mondo migliore, forse inesistente, un mondo che mio nonno mi aveva fatto conoscere con i film di James Dean, Marilyn Monroe e John Wayne. Anche se ero diventata un po' bulla continuavo a sentirmi vuota e inesistente, spesso stupida. Giovanni, lo incontrai per caso sull'autobus nel bel mezzo del deserto esistenziale e non so perché ma quel giorno mi sembrò che lui mi guardasse con un'aria diversa dal solito e così iniziammo un'avventura tutta nostra. Io avevo sedici anni, lui diciasette e furono i due anni più belli della mia vita. Con Giovanni ho capito che potevo diventare davvero una persona migliore e avevo anche il miglior ragazzo del mondo a cui piaceva un sacco che io fossi un po' stramba, forse perché lui aveva un sacco di regole rigide imposte dalla sua famiglia. Avevo tutto ed ero libera e quando hai la libertà, possiedi tutto. 
Giovanni era biondo, un po' sbadato, emotivo come me, era altruista e disponibile con tutti, un termosifone acceso a temperatura costante, come io vorrei essere e non sono. Un giorno mi ha detto che stava male, aveva la leucemia. Dal giorno che me l'ha detto  è cambiato tutto, è stato come entrare in una festa a cui nessuno dei due era invitato. Di colpo, insieme, abbiamo dovuto prendere dimestichezza con le sedute di chemioterapia, di radioterapia, con la febbre da cavallo, le notti insonni, il vomito, le lacrime infinite, i buchi sulle braccia e tutta una serie di cose che la gente è abituata a vedere in tv, ma che per quasi un anno sono state la nostra vita.
Grazie a Giovanni ho imparato ad amare i Beatles (un po' meno i Rolling Stones), Lucio Battisti e il mio prossimo. Giovanni mi ha insegnato a stare bene in mezzo alla gente, a portare rispetto ai più deboli e a non soffrire troppo per la sordità e la cecità del mondo nei confronti di noi sensibili. 
Giovanni è morto prima che io dessi la maturità. Morì con me vicino, era aprile. Una delle ultime cose che mi ha detto prima di morire è stata che era orgoglioso di essere stato il mio fidanzato e che non avrei dovuto mollare mai per niente al mondo perché ero in gamba. 
Tutta la bellezza della vita svanì in un attimo. Non penso di aver mai pianto tanto in vita mia e il funerale manco me lo ricordo, se non per due o tre fotogrammi. Ruppi i miei rapporti con tutti e di lì a poco passai il periodo più cupo della mia vita: una depressione totalizzante mi avvolse e mi stravolse. Non uscivo, non mangiavo, non vivevo. La rabbia e il senso di inutilità si impossessarono di me e mi rubarono tutto per anni, dal sorriso alla voglia di alzarmi dal letto. Passavo giornate intere nella mia camera, al buio, a letto, provando a dormire per non pensare. Ma anche i sogni possono far male, allora mi svegliavo, mangiavo e riprovavo. La depressione è un male profondo, assoluto. E' più buia del nero e più trasparente dell'aria ma è un vento che passa e le cicatrici che lascia possono essere perfino attraenti. Il problema è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere, è invisibile e non è uguale per tutti. Sono stati anni infami, anni in cui mi sono detta che era inutile vivere così, il tempo triste mi sembrava perso. Poi una sera di dicembre, una voce alla tv mi ha fatto piangere lacrime di gioia e ho sentito che l'esilio della mia anima era finito, si ritornava a vivere.

E ora che sei grande, com'è la vita? 
E come la riempi?
Adesso che sono una bambina cresciuta la vita è una canzone tutta da scrivere e io la scrivo con le mie parole, che sono il mio “secondo lavoro”. Ho un blog che ho chiamato “Machissenefrega!” perchè è un'esclamazione che uso spesso e scrivo su un piccolo giornaletto gratuito che si chiama “New Entry”. Le parole mi piacciono un botto perché secondo me sono come delle finestre che si spalancano; da ogni parola si può guardare fuori o dentro. Credo che le parole aprano le cose. 
Quando mi sento schiacciare e ho le lacrime alle porte degli occhi, dipingo. 
Ho un amore incondizionato per Marco Mengoni e il suo sorriso e un giorno mi piacerebbe abbracciarlo forte, fortissimo.

Quando è stato e (soprattutto) qual è stato il tuo coming out più importante?
Quello con la mia famiglia. Alla quale ho aperto tutto il mio cuore perché ero innamorata della persona con la quale credevo di passare il resto della mia vita. La mia famiglia, di risposta, mi ha aperto la porta di casa. I miei genitori mi hanno detto che per una “diversa” non c'era più posto in casa, hanno tolto tutte le mie fotografie, hanno smesso di parlarmi, uscivano se io entravo in una stanza dove c'erano loro. Allora, ho cercato di prendere dimestichezza con questa nuova occasione che la vita mi stava regalando, ho iniziato a preparare il più velocemente possibile tutte le mie cose e mi sono messa alla ricerca di una casa dove iniziare la mia seconda vita. Con la mia famiglia non ci siamo né parlati, né visti, né sentiti per cinque mesi. Poi il 21 marzo dell'anno scorso, ho chiamato mia mamma per farle gli auguri di buon compleanno (io e lei compiamo gli anni lo stesso giorno) e tra le lacrime le ho detto “Io quest'anno non ti regalo niente perché sarebbe da ipocrita, però se vuoi apri il mio cuore perché l'amore è universale, non ha etichette, quando uno ama, ama e basta”.

Meladailabrianza dice sempre che “Per ottenere diritti, bisogna avere visibilità; per avere visibilità, bisogna metterci la faccia”. Tu che significato dai al “metterci la faccia”?
Per me “metterci la faccia” vuol dire scegliere la verità con le sue carezze e il tempo che ci va (la rima non era voluta). In tutto il mondo si afferma il diritto alle unioni gay e in Italia siamo ancora nella fase medioevale “meglio un figlio ladro che frocio” e a darsi di gomito se passa un omosessuale e poi le matte risate.
Poi c'è l'esilarante schiera di chi ti dà del frocio se sostieni la causa gay, riducendo una questione gravissima di civiltà a una banale diatriba sui gusti sessuali. Il terzo mondo culturale è qui. Credo che nemmeno i figli di mio nipote vedranno due persone dello stesso sesso potersi unire davanti alla legge. 
Se ripenso a quel ragazzino di quindici anni che si è tolto la vita perché veniva deriso e chiamato gay attraverso Facebook in un gruppo creato contro di lui, mi sento stupida perché non ho potuto fare niente per lui. La strana idea che molta gente ha della libertà è alquanto bizzarra, non trovi? Nascondendosi dietro l'anonimato, sfogando sugli altri i propri malumori, vantando una finta forza dietro la debolezza di chi non dice nulla quando può guardarti in faccia. Ad essere stronzi e fastidiosi ci riescono tutti mentre la scelta contraria è molto più complessa, difficile e coraggiosa. La vera libertà è essere padroni dei propri desideri, screditare le vite degli altri anziché costruire la propria vita, lascia intuire che non si abbia qualcosa di sé di così bello da valorizzare. Come potrei non metterci la faccia?

Un episodio in cui ci hai “messo la faccia”?
Non c'è un episodio in particolare, preso singolarmente, in cui ci ho “messo la faccia”. Se mi guardo un po' indietro, la faccia ce l'ho messa sempre e continuo a mettercela perché camminare nell'onestà e nella verità è l'unica cosa che possiamo fare per andare avanti e scuotere l'immobilismo che aleggia in questo Paese dove la “diversità” è ancora uno stato di rischio. L'amore non ha sesso, ha senso. Solo quando questo mondo lo capirà, allora sarà davvero un mondo migliore. Credo che in questi tempi bui sia un dovere mettercela la faccia, anche perché il bello non è quello che ho vissuto ma tutto quello che ho ancora da vivere.

Un augurio o auspicio da lasciare a chi ci legge...
Innanzitutto, di essere. Che rimane in assoluto il viaggio più bello. Tenetevi stretti i ricordi, le persone della vostra infanzia. È dura, ma quando resistono al passare del tempo e nel palmo riuscite a tenerrne un paio, vi assicuro che poi durano per tutta la vita. Come guardare un fiume che ha acqua se hai sete ed è secco se vieni da giorni di pioggia. Vi auguro di fare come il vino, che nasce nella vigna ma diventa grande in cantina, vale per un sacco di cose. Poi vorrei augurarvi il coraggio di guardare sempre negli occhi la persona che amate, di essere abbracciati ogni volta che siete tristi, di essere chiamati “Amore” da chi non vi stuferete mai di chiamare a vostra volta “Amore”, di essere scelti tra la folla perché i vostri occhi hanno urlato e qualcuno li ha sentiti. Vi auguro di poter dire a qualcuno “a domani” ogni sera, di non tuffarvi mai nel passato e annegarci, di non abituarvi mai alle persone che amate. Vi auguro di scoprire (o riscoprire) la forza motrice dell'amore, l'unico sentimento in grado di rinnovarci, continuamente. L'amore ha un diametro ed è in questo cerchio che dobbiamo danzare. Vi auguro di non arrivare mai a pensare che non ne vale la pena e vi auguro di non aspettare troppo per tutto questo.